Molti chitarristi tendono a pensare che il compressore sia un oggetto inutile o addirittura dannoso. Spesso questo modo di pensare è accompagnato dalla scarsa conoscenza delle potenzialità del compressore. E’ un effetto che implica uno sforzo maggiore di qualsiasi altro per essere apprezzato, perché è normalmente meno evidente. Se usiamo un overdrive, anche girando a caso i potenziometri, saremo in grado di percepire immediatamente il suo funzionamento, idem per un delay, un chorus, un phaser o altro. Il compressore invece si percepisce solo quando è esagerato. A quel punto logicamente può non piacere.

Chiunque ascolti musica, ascolta qualcosa dove il compressore è massicciamente presente, si usa infatti in fase di registrazione, in fase di missaggio, in post-produzione. Il compressore è un processore di dinamica e il suo scopo in fase di mix è quello di creare una pasta sonora dove i volumi dei vari componenti risultino omogenei. Per ciò che riguarda i chitarristi, solitamente i compressori nel formato stompbox forniscono una sintesi di parametri preimpostati più o meno idonei alle varie esigenze; in realtà l’effetto si basa su 6 distinti controlli:

  • threshold (cioè il livello a cui il compressore entra in funzione)
  • ratio (cioè la quantità di compressione da applicare)
  • attack (cioè la velocità di attacco dell’algoritmo)
  • hold (cioè la quantità di tempo in cui il compressore una volta innescato agirà)
  • release (cioè la velocità con la quale, trascorso il tempo di hold, il compressore rilascerà)
  • gain (cioè la regolazione del recupero di quanto è andato perduto in termini di volume)

Se ci fosse realmente un pedale in grado di farci interagire con tutti questi parametri, non ci sarebbe l’esigenza di scegliere fra questo o quell’altro perchè si riuscirebbe ad ottenere facilmente il suono di cui avremmo bisogno. Macchine del genere esistono, ma sono costosi rack usati più che altro in studio e live da professionisti particolarmente esigenti. Il compressore serve a regolare gli sbalzi di volume, permette l’aumento generale del volume della chitarra, ingrossandone grandemente il corpo, aumenta  il sustain e crea un effetto amalgama assolutamente necessario per certi generi musicali; provate a fare una ritmica tipicamente Funky senza il compressore, impossibile! Lo stesso vale se si vuole ricreare un sustain alla David Gilmour, ma di questo parlerò più approfonditamente nel corso “I SUONI DELLA CHITARRA”.

Normalmente il compressore si utilizza ad inizio catena, prima di qualsiasi altro pedale, io stesso nella mia pedaliera l’ho collegato in questo modo. Questo sistema fa in modo che il segnale originale della chitarra arrivi già processato e livellato dentro agli altri effetti. Non va mai utilizzato nei collegamenti send/return ma in diretta negli ingressi dell’amplificatore.

Non esiste una regolazione perfetta, i fattori che influenzano il risultato sono molteplici: la dinamica della chitarra, la plettrata, il genere musicale, etc etc, esistono però delle linee guida generali.

  • L’attacco deve essere regolato lungo se si vuol far sentire la propria gamma dinamica nella plettrata, corto qualora si voglia creare omogeneità, ad esempio su un arpeggio, per renderlo caldo e corposo.
  • Meglio non esagerare con il ratio, a meno che non si cerchi un effetto particolarmente marcato è buona norma lasciare che il compressore agisca senza che si percepisca chiaramente il suo intervento.
  • Il threshold va necessariamente regolato di volta in volta, varia da brano a brano.
  • Hold e release aiutano con il sustain, ma  bisogna tenere presente che sopratutto l’ hold incide moltissimo sulla qualità del segnale facendolo sembrare falso.

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